La Sardegna è oggi la regione d’Italia che più di altre ha mantenuto viva la tradizione del ballo etnico, soprattutto nelle zone centrali dell’isola (Barbagia, Mandrolisai, Baronia, Goceano, Marghine, Barigadu, Montiferru). Quello del ballo sardo è un microcosmo originalissimo e di grande interesse antropologico ed etnocoreutico, che si diversifica molto dalle altre tipologie di danze ancora presenti in vari punti della penisola italiana. Esso va collocato fra quelle danze mediterranee che più hanno mantenuto una funzione terapeutica e catartica, perché l’insistente iterazione microvariata di “passi” e strutture, i frenetici movimenti sussultori dei corpi e la serietà con la quale vengono eseguiti denotano la natura sacrale ed estatica del rito coreutico. I tratti distintivi del ballo sardo possiamo così brevemente riassumerli:

– impianto coreografico basilare: predominio del ballo tondo (oggi un po’ in declino);
– vettore direzionale spaziale: rotazione in senso solare del cerchio;
– prossemica: connessione obbligatoria con con presa per mano (ed eventuale intreccio di braccia) tra i balladores;
– postura dominante: corpo eretto con scarsa mobilità della parte superiore ed estrema vivacità degli arti inferiori;
– rapporto musica-danza: stretta corrispondenza fra metrica coreutica e metrica musicale (ogni motivo coreutico corrisponde alla pikkiada musicale);
– metrica coreutica: struttura modulare codificata e possibilità di microvariazioni individuali;
– somatizzazione ritmica: frammentazione delle cadenze ritmiche e conseguente tremolio sussultorio;
– alta specializzazione tecnica di suonatori e ballerini, con tendenza a personalizzare e stilizzare il repertorio di appartenenza.

IL PROBLEMA DELLA CLASSIFICAZIONE DEI BALLI SARDI

Solo negli ultimi anni si è avviato un serio percorso di studi di etnocoreologia sarda: ma per poter analizzare e comprendere il complesso pianeta del ballo in Sardegna è urgente completare il censimento di tutte le forme coreutiche oggi recuperabili sull’isola. L’opera di documentazione audiovisiva sta progredendo ed oggi abbiamo un inventario abbastanza nutrito di molte decine di esempi locali. Per questo è possibile tracciare una prima classificazione del ballare sardo. Ma ogni formulazione tassonomica dipende dai parametri classificatori adoperati. 
Dal punto di vista strutturale la maggior parte dei balli sardi tradizionali si suddividono in due principali famiglie: danze mono-strutturate e danze bi-strutturate. Le prime, certamente più antiche, prevedono un andamento ritmico e cinesico omogeneo e iterativo; sono quelle eseguite in genere sulle launeddas, sul canto monodico o sul canto polifonico dei tenores senza cambio di tonalità o di parti melodiche diverse formalizzate (ne fanno parte: passu, ballu seriu, passu torrau, ballu tsoppu, ballu gabillu, passu ‘e trese, ecc.). Le danze a doppia struttura sono quelle formate da una parte lenta e posata (sa seria o su passu) e una parte più vivace e articolata (detta secondo le zone: sa lestra, brincada, puntada, sciampitta, trincada, ecc.). Questa seconda parte viene stimolata dall’esecuzione musicale che usa toni alti, briosità ritmica e abbellimenti melodici; i ballerini evidenziano il cambio immettendo salti, battute di piedi e aumentando la sussultorietà ritmica di tutto il corpo, secondo la regola per cui s’alza il suono e si eleva anche il passo con tutto il corpo. Ne fanno parte sa danza, su ballu brincu o brincadu, su ballu sartiu, su dillu, su bicchiri, sa logudoresa, s’arroxiada, ecc.
Adoperando il criterio coreografico nell’analisi dei repertori, il panorama etnocoreutico sardo comprende molte altre varietà di balli: balli processionali o dal percorso intrecciato o a serpentina: sa cointrotza (= la coda intrecciata), su ballu ‘e s’esse (= il ballo della esse), s’arroxiada (= l’intrecciata); balli a tre ballerini (un uomo e due donne) con giochi di intreccio di braccia: ballu ‘e trese (= ballo di tre) e s’indassa (= l’intreccio). Si conservano anche balli di provenienza esterna come la muffulina (probabilmente damanfrolina rinascimentale o – più probabilmente – dalla manfrina dell’Italia centro-settentrionale) e lo scotis ottocentesco di origine centro-europea, nonché una grande quantità di produzione locale di valzer, polke, mazurke e tango, detti in Sardegna “ballu tzivile”, a rimarcare la differenza con i balli autoctoni più etnicamente sardi.
Sotto l’aspetto metrico-modulare i balli sardi si possono suddividere in tre grandi gruppi: uno a modulo ternario composto (su passu torrau, su ballu tundu, su passu ‘e trese (= passo a tre) campidanesu), l’altro a modulo ternario semplice (ballu logudoresu, alcuni tipi di ballu tsoppu)e il terzo a modulo binario (dillu, dillaru o dillanu, bicchiri, passu ‘e dusu, ecc.). Ma se alle strutture cronometriche si rapportano quelle cinetiche, allora il quadro si fa davvero più complicato. Si tratta di formule cinetiche di base, sulle quali poi i ballerini possono compiere numerose variazioni previste dall’uso locale o per scelta individuale, rispettando però gli impulsi forti del ritmo musicale e la grammatica cinesica della comunità di appartenenza. Non sempre i nomi dati ai balli corrispondono ad una precisa e relativa tipologia formale. In altri termini non sempre allo stesso nome corrisponde la stessa forma, e viceversa».